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†The Zel†.
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2° CAPITOLO
Konoka guardò l’orologio: erano le undici e cinquantotto.
“Dove diavolo sono finiti?”
Asuna e Takamichi erano scomparsi da tanti, troppi minuti e lei cominciava a
preoccuparsi: Asuna si era forse sentita male?
Ma in quel caso perché non chiamarla?
Gli altri invitati si erano trasferiti all’esterno, ormai era rimasta solo
lei a vagabondare per l’enorme e vuoto salone.
“Aspetto altri cinque minuti, se non si fa sentire nessuno, vado a cercarli”.
Il cellulare di Konoka squillò e lei rapidamente lo prese, guardando il
numero: “Asuna! Pronto? Sono io”.
Dall’altra parte arrivarono solo scariche, unite a un rumore ansimante.
“Konoka… vienimi a prendere…” disse una voce insicura.
“Asuna! Cos’hai? Che è successo?”
“Vienimi a prendere…. Sono al quinto piano… vieni….” E chiuse il contatto.
Agitata, Konoka lasciò la sala andando agli ascensori e salì fino al quinto
piano.
Davanti a se c’era solo un lungo corridoio, vuoto.
Cosi com’erano vuoti quasi tutti gli appartamenti dell’edificio.
Tokyo-Sol era un quartiere molto recente, e aveva da poco cominciato a
riempirsi.
La ragazza si avventurò nel corridoio, chiamò debolmente, quasi come se
temesse di disturbare, la sua amica.
Nessuno le rispose, allora riprovò col cellulare.
Sobbalzò quando la suoneria del telefono di Asuna risuonò vicinissimo a lei.
Konoka si guardò intorno smarrita, poi individuò la fonte del rumore:
proveniva da una stanzetta affianco a lei.
Titubante aprì la porta, scoprendo cosi uno sgabuzzino per le scope.
E stesa sul pavimento, c’era Asuna.
Konoka gridò per la sorpresa e s’inginocchiò con slancio sull’amica.
“Asuna! Asuna! Cosa ti è successo?!”
Asuna aprì gli occhi e mormorò il nome dell’amica.
Poi strinse i pugni come per farsi coraggio e tentò di mettersi a sedere,
avendo comunque bisogno dell’aiuto di Konoka.
“Ha cercato… ha cercato…” tentò di dire Asuna, con un’espressione stordita,
da persona appena svegliatasi.
“Cosa?! Cosa?!” domandò con angoscia l’altra.
Che, come se fosse stata colta da un’orribile illuminazione, si portò le mani
sulla bocca. “Non… Takamichi non avrà cercato di farti qualcosa di…?!”
Sentendo quel nome, Asuna sentì il sangue ribollire nelle vene.
E gli occhi riempirsi di lacrime.
Sbatté con forza un pugno sulla parete.
“Quel porco…. Io lo ammazzo! Lo ammazzo! Negi aveva… aveva ragione!”
“Chiamiamo la polizia!” propose Konoka.
“No!” rispose con uno scatto Asuna. “Ora… ora non mi sento bene… mi deve
aver… somministrato qualcosa… ora… non so pensare… portami a casa…”
“Ma sei sicura?”
“S-si… cioè… si! Adesso… non saprei fare niente. Cosa… cosa ho dovuto fare
per riuscire a… chiamarti…”
Senza essere troppo convinta, Konoka la aiutò a rialzarsi.
Solo allora si accorse che il vestito di Asuna aveva la gonna strappata
all’altezza della cintola.
E che il body e il petto erano ricoperti da macchie rosse.
“Quello… quello è sangue?!” disse additando le macchie.
“S-si… quando ho capito cosa volevo fare… gli ho rifilato un calcio in bocca…
e sono scappata… sono andata…. Finita… qui… credo..”
Sconvolta e stupita, Konoka condusse Asuna agli ascensori facendole da
sostegno.
La sua amica barcollava, almeno tre volte rischiò di cadere, e dentro gli
ascensori sembrò sul punto di addormentarsi.
Raggiunto il salone, non ebbero problemi a uscire dal palazzo senza farsi
vedere, poiché tutti gli ospiti erano ancora fuori.
Konoka chiamò un taxi e si fece condurre alla casa di Asuna.
Durante il tragitto, strinse a se l’amica, come a volerla proteggere da
sguardi indiscreti.
In lontananza si udirono delle sirene, forse la polizia.
Giunte a destinazione e pagato il conducente, Konoka aiutò Asuna a salire le
scale del suo appartamento.
Asuna era ancora intorpidita, quindi non appena fu portata nella stanza da
letto, crollò sul materasso.
Konoka telefonò al padre: “Papà, sono io. Senti, questa sera resto a dormire
da Asuna. Se è successo qualcosa? Be, diciamo di si. Comunque ti dirò tutto
domani mattina. No, non preoccuparti, stiamo bene, adesso. Domani saprai tutto.
Fidati. Va bene, ciao”.
Chiuso il contatto, Konoka rimase a vegliare sull’amica.
Negi fu svegliato dal rumore della sveglia.
“Umpf, Asuna non c’è” borbottò alzandosi.
Andò nel bagno e subito dopo dovette tornare in camera a prendere la roba per
cambiarsi.
Indossò gli stessi abiti del giorno prima e andò in cucina, dove percepì un
forte odore di caffè.
E vide sua madre intenta a leggere il giornale, mentre la tv era spenta.
“Ciao, mamma” fece lui.
“Ben svegliato” rispose la madre guardandolo un momento e sorridendogli, per
poi riemergersi nella lettura del giornale.
“Notizie di Asuna?”
La donna fece cenno di no, poi guardò l’orologio: “Vieni, ti accompagno a
scuola”.
“Eh, ma sono solo le sette e mezza”.
“Lo so, ma cosi avrai il tempo di fare colazione lungo il tragitto. Conosco
un bar dove fanno delle brioche buonissime”.
Negi borbottò qualcosa e accese la televisione.
Quasi come se non aspettasse altro, venne trasmessa un’edizione
straordinaria: “Omicidio nel mondo dei vip. Stanotte è stato assassinato
l’attore Takahata Takamichi, 30 anni. Takamichi è diventato famoso per…” e seguì
la descrizione della carriera dell’illustre scomparso.
“Uhm, sarà un duro colpo per Asuna” pensò Negi mentre iniziava a preparasi la
cartella.
Al giornalista del TG giunse una telefonata. “Ci comunicano che c’è già una
persona sospettata per l’omicidio. Una nostra troupe ha seguito le auto della
polizia fino alla casa dell’indiziato, di cui sta avendo ora l’arresto”.
L’immagine cambiò, mostrando un appartamento con davanti tre auto della
polizia e un gruppo di poliziotti che portavano fuori due persone, due ragazze:
una era ammanettata, l’altra invece era solo tenuta sotto braccio da una
poliziotta.
Gli agenti cercavano di allontanare gli obiettivi delle telecamere dai volti
delle due ragazze.
Coprirono quest’ultime anche con delle giacche.
Ma qualche pezzo dei loro visi si intravide comunque.
E Negi si sentì venire meno, perché quella casa e quelle ragazze le conosceva
molto bene.
Specialmente quella ammanettata.
Asuna picchiettava con le dita sul tavolo, tenendo lo sguardo fisso su di se.
Era già un’ora che l’avevano chiusa in quella stanza vuota, con un largo
specchio sulla parete destra.
La ragazza aveva visto abbastanza film polizieschi per sapere che si trattava
di uno di quegli specchi trasparenti solo da un lato.
Chissà quanti occhi celati in quel momento la stavano studiando.
Comunque fino ad allora non erano stati troppo scorbutici: quando l’avevano
prelevata a casa, le avevano dato il tempo di cambiarsi. Sarebbe stato umiliante
andare alla polizia in pigiama.
E adesso le avevano pure tolto le manette.
Avevano anche specificato che poteva girare per la stanza, ma lei non se la
sentiva di alzarsi dalla sedia.
E chissà dove era finita Konoka.
Che diavolo stava succedendo?!
In quel momento entrarono nella stanza tre persone, due uomini e una donna.
Gli uomini si misero ai lati della porta, la donna si sedette davanti ad
Asuna.
“Sono il detective Sanae” si presentò la sconosciuta.
Asuna rispose dicendo il suo nome.
“Lo so già” replicò Sanae. “Bene, signorina Kagurazaka, lei sa perché è in
stato di fermo?”
“No, proprio no”.
“Allora sarò molto rapida: signorina Kagurazaka, lei è sospettata
dell’omicidio di Takahata Takamichi”.
Sentendo quel nome, Asuna strinse i pugni, cercando di mantenere il
controllo.
“Co-cosa sta dicendo?”
“Quello che ho detto. Il signor Takamichi è stato ritrovato cadavere nel suo
appartamento. La morte risale a poco prima della mezzanotte, per l’esattezza tra
le undici e quaranta e le undici e cinquanta. Cinque coltellate, con un coltello
da cucina, al petto. Il corpo era ancora caldo quando la polizia è arrivata,
perché informata da una vicina quasi nel momento stesso in cui avveniva il
delitto”.
“Non sono stata io!” esclamò Asuna sporgendosi in avanti.
“Però lei risulta essere l’ultima persona che l’ha visto vivo”.
“Quel porco ha cercato di violentarmi! Avete sicuramente perquisito la mia
casa. Non avete trovato il vestito strappato? E non avete parlato con la mia
amica Konoka?”
“Abbiamo parlato con la signorina Konoe. Ha descritto una situazione davvero
drammatica. Ma questo non la assolve, signorina Kagurazaka”.
“Come non mi assolve? Di cosa sta parlando? Sono io la vittima!”
“E allora come mai sul suo vestito strappato c’erano tracce di sangue?”
“Perché per difendermi, l’ho colpito. Ma gli ho dato un calcio in bocca. Non
l’ho certo accoltellato!”
“Tuttavia, dal colpire con un calcio, come ci ha raccontato anche la sua
amica, all’accoltellare il passo non è molto lungo”.
“Non l’ho accoltellato! Io non saprei mai uccidere!” ripeté Asuna,
sforzandosi di trattenere le lacrime.
La Sanae se ne accorse e cambiò atteggiamento.
Mise una sua mano su quella di Asuna. “Se lei l’ha fatto per difendersi, non
è una colpa sua. La giuria sarà clemente”.
Asuna ritirò la mano con uno scatto e altrettanto rapidamente si alzò in
piedi.
Sanae, con un gesto della mano, bloccò i due uomini che già stavano per
scattare anche loro.
“Non sono un’assassina!” insisté Asuna “E poi scusate, voi siete risaliti a
me perché io vi ho chiamato stamattina presto, dato che volevo denunciare
Takamichi. Se fossi la sua assassina, non sarei dovuta sparire nel nulla? Mi
sarebbe bastato non chiamarvi!”.
“Questo è vero” ammise Sanae “Tuttavia noi poliziotti sappiamo meglio di
altri quanto possono essere ingannatrici le apparenze. Per ora la finiamo qui.
Più tardi le faremo altre domande. E fino ad allora dovrà restare qui in stato
di fermo. Dove sono i suoi genitori? Può permettersi un avvocato, o ne vuole una
d’ufficio?”
Asuna, improvvisamente esausta, si rimise a sedere. “Sono orfana. E lavoro
part-time come baby sitter, soprattutto, e anche come distributrice di giornali.
Dice che possono permettermi un avvocato?”
“Credo di no. In tal caso, se occorrerà, gliene verrà assegnato uno
d’ufficio. Arrivederci, signorina Kagurazaka”.
I tre agenti uscirono dalla stanza.
Rimasta sola, Asuna si coprì il volto con le mani.
Non poteva nemmeno permettersi un pianto di sfogo, non voleva dare spettacolo
alle persone dietro lo specchio.
Lei, accusata di omicidio.
Ne sarebbe uscita?
E chi la conosceva avrebbe voluto ancora frequentarla?
Certe accuse ti marchiano a vita.
“Negi… vorrai vedermi ancora?”
“Andiamo, dammi qualche notizia!” imprecò Negi maneggiando una radiolina.
Non riusciva ad avere notizie di Asuna.
Avrebbe voluto andare subito al commissariato, ma la madre si era opposta.
I ragazzini come lui dovevano pensare alla scuola, non alle accuse di
omicidio.
Tuttavia le ore di lezione erano state una tortura continua, preso dalla
smania di sapere cosa stava succedendo ad Asuna, era stato difficile lottare
contro la tentazione di accendere quella radio in classe.
Ora che finalmente c’era l’intervallo, poteva usare la radio ma il segnale
era disturbato.
“Dannazione!” gridò.
“Ehi Negi” disse Kotaro affiancandolo “Che ti prende?”
“Sai che hanno assassinato quel Takamichi?”
“Si, la televisione non parla d’altro da stamattina”.
“E sai che hanno accusato Asuna di ciò?”
Kotaro sbiancò: “Che cosa?! Il TG che ho visto io diceva che avevano
arrestato qualcuno, però niente nomi”.
“Sia quel che sia, l’hanno arrestata! Che assurdità! Asuna è una persona
meravigliosa, che non farebbe del male a nessuno!”
“Se è innocente, vedrai che la assolveranno”.
“Vorrei tanto crederlo! Ma se i poliziotti sono arrivati a ritenere colpevole
una persona insospettabile come lei, allora chissà cos’altro potrebbero
combinare! Konoka è stata rilasciata subito, d’altronde la sua famiglia ha mosso
all’istante un esercito di avvocati, per lei. Ma per Asuna niente! L’ho chiamata
prima, nell’intervallo, per avere notizie. Konoka mi ha detto che ha tentato di
proteggere Asuna, di dire alla polizia come sono andate le cose. Ma non può
trovarle un avvocato. E sai perché? Perché i portavoce e gli avvocati della sua
famiglia hanno stabilito che i Konoe non devono avere niente a che fare con
un’accusata di omicidio! Bastardi!!”
Negi riprese ad armeggiare intorno alla radio, e ancora niente.
“Al diavolo!” sbraitò lanciando per terra la radiolina. “E’ inutile come
tutte le cose di casa mia!”
Quella reazione aveva attirato l’attenzione di alcuni compagni rimasti
nell’aula: chi aveva mai visto il tranquillo e sempre posato Negi Springfield
perdere le staffe?
“Fatevi gli affari vostri!” ordinò Kotaro, mostrando il pugno ai suoi
compagni e facendosi subito obbedire.
Davanti alla vista dell’amico, a capo chino e percorso da fremiti, Kotaro
ebbe un’idea.
“Senti, forse ti sembrerà una stupidaggine, però io credo di conoscere un
modo per discolpare Asuna”.
Negi lo guardò speranzoso. “Ovvero?”
“Ultimamente girano strane voci, che parlano di un sito internet attraverso
il quale si può prendere contatto con una persona, una sorta di genio della
legge che risolve ogni caso”.
Negi rimase allibito. “Mi stai prendendo in giro?”
“Assolutamente no! Lo so che sembra assurdo, tuttavia diverse persone ne
hanno parlato. Dicono che sa risolvere casi di ogni tipo e che predilige i casi
disperati”.
“Ti sembra che una leggenda urbana possa aiutare Asuna?!”
“Non è una leggenda. Ne hanno parlato persone attendibili”.
“Molte leggende urbane sembrano attendibili. E poi, come si chiama questo o
questa detective? E se è tanto capace, come mai i giornali e i TG non ne
parlano? Perché certamente dovrebbero parlare di un simile fenomeno”.
“Be, questo non lo so. Comunque ho l’indirizzo. Www. Wal. Kr”.
“Mi sembra solo un’enorme stupidaggine, comunque grazie del pensiero” rispose
Negi.
Che tanto non avrebbe mai provato.
Figurati se in quella situazione poteva perdere tempo dietro a delle
fantasie.
Era infine arrivata la sera.
Asuna stava ancora attendendo, stavolta in una cella del commissariato.
Le avevano anche portato i pasti, mentre doveva chiamare tramite un
campanello per quando doveva andare al bagno.
Non c’erano specchi magici, ma una piccola telecamera.
“Dio mio, che attesa snervante. Sapessi almeno cosa succede”.
La porta si aprì ed entrarono il detective Sanae e un uomo, giovane ed
elegante, con i capelli neri moderatamente lunghi e gli occhiali.
Lo sconosciuto portava anche una grossa borsa.
Porse la mano ad Asuna. “Piacere di conoscerla, signorina. Io sono Teru
Obata. E sono il suo avvocato d’ufficio”.
La perplessità di Asuna diventò puro sgomento. “Avvocato?! Non vorrete mica
dire che…”
“Esatto” rispose la Sanae. “Asuna Kagurazaka, lei è formalmente accusata
dell’omicidio di Takahata Takamichi”.
“NO!!” gridò Negi davanti alla televisione.
Al TG della sera avevano appena annunciato che erano spuntati ben due
testimoni contro la principale indiziata, ovvero Asuna, che ora era
ufficialmente accusata dell’omicidio e pertanto sarebbe stata trasferita in
carcere in attesa del processo.
Negi fu tentato di correre dalla madre per avvertirla.
Ma già dalla sua stanza la sentiva impegnata nell’ennesima telefonata
d’affari.
Dopo l’arresto di Asuna, aveva deciso di restare col figlio.
Portandosi il lavoro a casa però, quindi era come se non ci fosse.
E sicuramente troppo impegnata per trovare un avvocato che aiutasse Asuna.
Negi cadde a terra in ginocchio, cominciando a piangere.
“Asuna… Asuna… non è possibile! Come farai?!”
Doveva aiutarla, ma come?
Lui era solo un bambino.
Già, solo un bambino.
E allora, tanto valeva fare una cosa cretina, che solo un bambino avrebbe
potuto fare.
Accese il suo computer, andò su internet e digitò l’indirizzo che gli aveva
dato Kotaro.
Gli apparve una schermata bianca.
Al centro, una finestra dove scrivere, come per le chat.
Scuotendo la testa, Negi cominciò a scrivere.
“C’è nessuno?”
Apparve un’altra scritta sotto la sua.
“Buonasera. Di cosa hai bisogno?”
“Uhm, devo ammettere che non mi aspettavo una risposta. Dunque…”
Negi continuò: “Ha sentito dell’omicidio di Takahata Takamichi?”
“Certamente”.
“La persona sospettata è una mia carissima amica. Voglio scagionarla”.
“Il caso va studiato. Comunque potrei accettarlo”.
“Vi avverto che non ho soldi”.
“I soldi non m’interessano”.
“Davvero?”
“Si. Incontriamoci a questo indirizzo”.
Apparve un indirizzo accompagnato dall’orario, le undici.
“Ma questo, è matto!” pensò Negi “Crede davvero che una persona accetterebbe
un simile appuntamento al buio? Se tutto va bene non ci sarà nessuno. O
altrimenti ci sarà qualche maniaco. Vediamo un po’ dove può spingersi”.
“Non c’è un altro orario?”
“Quale preferisci?”
“Le quattro e mezzo” propose Negi.
“Va bene. A domani, alle quattro e mezzo. Da solo”.
“Assurdo, davvero assurdo. Solo un’idiota ci andrebbe, tsk”.
Puntuale, il giorno dopo Negi si avventurò nel quartiere indicato dal sito.
Non era una zona degradata, anche se in periferia.
Una serie di case bianche, tutte uguali tra di loro e tutte a due piani,
collegati da una scalinata esterna.
In mezzo alle varie case, un dedalo di stradine asfaltate, dove in teoria le
macchine potevano pure passare, ma se andavi a piedi o su due ruote era meglio.
Negi, ormai impegnato in quella follia, teneva il cellulare a portata di
mano.
Quella era la sua prima arma.
La seconda era Kotaro: oltre ad averlo coperto nel doposcuola, dicendo ai
genitori di entrambi che sarebbero andati a vedere un film, sarebbe stato lui ad
avvertire chi di dovere nel caso Negi non fosse più tornato.
Il ragazzo guardò il foglio su cui aveva scritto l’indirizzo: la casa era
proprio davanti a lui.
Tante piccole voci gli gridavano che stava compiendo una follia.
Però, dopo aver sentito che il processo ad Asuna sarebbe iniziato a breve, e
dopo che la madre si era nuovamente rifiutata di accompagnarlo dalla sua amica,
aveva messo a tacere tutti i dubbi.
Il piano indicato era quello superiore, Negi salì le scale e ad ogni passo,
si sentiva sempre più spiato.
Anche se l’appartamento aveva le finestre chiuse.
Giunto alla porta, dopo un lasso di tempo che gli parve un’eternità, bussò.
E il suo battere diede forza sufficiente alla porta per aprirsi. Non era
chiusa, solo accostata.
Negi si avventurò dentro l’appartamento, avvolto nel buio.
In fondo al corridoio, davanti a lui, giungevano però delle voci.
Cautamente avanzò, finché non vide anche delle luci biancastre, provenienti
da un’altra stanza.
Era una stanza con una parete piena di televisori, alcuni affiancati, altri
fissati uno sull’altro.
Trasmettevano programmi diversi, soprattutto telegiornali, in varie lingue.
C’era anche una scrivania, con una poltrona e un computer portatile aperto.
L’attenzione di Negi fu però attirata da un’altra cosa: dolci.
Intorno al computer c’erano quattro vassoi, tre pieni di dolci di tutti i
tipi, mentre sul quarto tazze per il the e cubetti di zucchero.
“Che diavolo è tutta questa roba?” mormorò Negi.
“Buongiorno” disse qualcuno alle sue spalle.
Negi sobbalzò e corse a ripararsi dietro la poltrona, osservando il nuovo
arrivato.
Era un ragazzo, sui venticinque anni, con capelli neri lunghi e folti.
Indossava jeans azzurri e una maglia bianca abbastanza larga, era a piedi
nudi e leggermente curvato in avanti.
Quello che colpì molto Negi era comunque il suo volto: impassibile, privo di
emozioni e pallido. Gli occhi erano incorniciati da due profonde occhiaie.
“Chi-chi sei?” balbettò Negi.
Lo sconosciuto, che teneva le mani in tasca, si grattò il polpaccio destro
usando il piede sinistro.
“Io sono L”.. -
§AxeLife§.
User deleted
Bellissimo!
Aspetto con ansia il 3°capitolo!. -
Amrit96.
User deleted
Strano alla fine il nome "L" lo usa anke il protagonista di Death Note . -
†The Zel†.
User deleted
chissà perchè... lo scoprirai xD .