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†The Zel†.
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4° CAPITOLO
Una volta finita la scuola, Negi volle subito cominciare le indagini con L.
Si trovavano in un vicolo poco distante dal Mahora.
“Sei certo di voler venire con me?” gli chiese il detective.
“Si! Non posso restarmene con le mani in mano mentre Asuna è nei guai!”
“Come vuoi. Ma le regole le fisso io, sia ben chiaro”.
“Chiarissimo”.
“Allora cominciamo stabilendo che tu verrai con me solo quando io te lo
permetterò. Quindi continuerai ad andare a scuola la mattina. Tue assenze troppo
prolungate potrebbero dare nell’occhio e guastare l’anonimato che mi è
essenziale. E ogni pomeriggio, dovrai assicurarti di avere qualcuno che ti
copra”.
“Ho un amico che sarà ben lieto di farlo”.
“E allora ci incontriamo oggi pomeriggio alle cinque. E mi raccomando, metti
dei jeans azzurri”.
“Eh? Perché?”
Ma L era già sparito.
Negi, tornato a casa, chiamò subito Kotaro per informarlo degli ultimi
sviluppi e creare insieme un piano di copertura.
Dopodiché attese trepidante il momento in cui avrebbero iniziato le indagini.
Accese la tv per sapere se c’erano state novità e non ne trovò.
La polizia era stata piuttosto abile nel nascondere le notizie alla stampa.
Intanto il nome di Asuna non era trapelato.
Si sapeva solo che la persona sospettata era una ragazza, un elemento sul
quale i media si erano subito scatenati con illazioni tra le più varie, che
andavano dall’amante fino alla sorella nascosta o alla figlia segreta.
Non si conosceva neppure il volto della ragazza.
Quella era un’altra buona cosa.
Cosi, quando Asuna sarebbe stata per forza scagionata, non avrebbe passato il
resto della vita additata come una possibile assassina.
Ora bisognava passare al contrattacco e per farlo era prima necessario
coprirsi.
Perciò, arrivata l’ora X, prese il telefono. “Kotaro, sono io. Allora è tutto
pronto?”
“Affermativo. Vieni a casa mia, poi da lì andremo al cinema. Uscirai di
nascosto usando una porta d’emergenza. Ufficialmente, per tre ore e mezza, tu
starai con me al cinema. Verso le otto e mezza, rientrerai dalla stessa porta.
Ricordati di farmi il segnale. Uao, è supereccitante! Mi sembra di essere in un
film!”
“Cerca di non montarti la testa. Ora vengo” disse Negi chiudendo il telefono.
Uscendo di casa, vide la madre seduta nel soggiorno e impegnata nell’ennesima
telefonata d’affari.
“Mamma, io vado al cinema con Kotaro”.
La donna gli fece un gesto con la mano, come a dire ‘ok’, dopodiché si
rituffò nella telefonata.
Negi sospirò rassegnato e se ne andò.
Il piano andò come prestabilito. Kotaro rimase nel cinema a vedersi due film
di Godzilla in successione, mentre Negi alla chetichella uscì da una porta
antincendio e raggiunse la casa di L.
Il suo ‘capo’ lo attendeva davanti all’ingresso, con uno zaino sulle spalle.
E stava sgranocchiando dei biscotti.
“Sono qui” annunciò Negi.
“Bene. Per prima cosa ci recheremo sul luogo del delitto” dichiarò L.
Sotto la scalinata c’erano due biciclette con la quale si diressero verso il
palazzo di Tokyo-Sol.
“Andiamo a cercare prove?” domandò Negi.
“Foffio fefificafe feffe fofe” rispose L con un leccalecca in bocca.
“Come prego?”
L si tolse il dolce dalla bocca. “Voglio verificare delle cose”.
L riprese a sgranocchiare i suoi biscotti. “Allora, il primo soggetto è
Chisame Hasegawa. Il nome non ti dirà niente, perché forse la conosci come Chiu”.
“La idol e presentatrice di quei programmi per bambini?”
“Esatto. E’ lei che afferma di avere visto Asuna colpire a morte Takamichi”.
Dicendo questo, L iniziò ad andare avanti e indietro.
Negi seguiva col capo i movimenti di L. “Ha intenzione di parlarle?”
“Non necessariamente. E poi sarebbe difficile. Hasegawa è una persona molto
gelosa della sua privacy. In studio è sempre solare e allegra, ma nella vita di
tutti i giorni è una persona seria e posata. Persino il gossip non ha quasi
niente su di lei. Quel tipo di giornalisti sono molto bravi a inventare di tutto
basandosi su qualche dettaglio. Ma la cura di Hasegawa nei confronti della
propria immagine è maniacale, la serietà con cui affronta la carriera è totale,
e loro restano quasi sempre a bocca asciutta. Le poche foto sulle riviste la
mostrano mentre passeggia o mangia qualcosa al bar. Niente che possa dare addito
a pettegolezzi”.
Negi annuì. “Capisco. Però vorrei che mi spiegasse una cosa”.
“Ovvero?”
“Perché per dirmi queste cose sta camminando sulla ringhiera a ottanta metri
dal suolo?!”
I due infatti si trovavano sul tetto del palazzo dove era stato compiuto
l’omicidio.
Il tetto era anche una terrazza, circondata da un’alta ringhiera dalla quale
si godeva una visione panoramica di Tokyo.
Ed L stava camminando avanti e indietro proprio su quella ringhiera.
Con assoluta calma, sgranocchiando biscotti e col vento che gli arruffava i
capelli.
Negi era inebetito: voleva dirgli di scendere.
Ma se quella mossa fosse stata collegata alle indagini?
E se cercava di afferrarlo per farlo scendere, non avrebbe invece corso il
rischio di farlo cadere?
“Insomma, L, sono già quindici minuti che sta passeggiando su quella
ringhiera! Cosa vuole fare?”
“Zuccheri e aria fresca. Un mix vincente” rispose lui con semplicità.
Negi cautamente si avvicinò alla ringhiera.
Più il tempo passava, più si innervosiva.
“Fai attenzione che non ti cada nulla di sotto” lo avvertì L.
Negi guardò giù e vide un piccolo gruppo di persone alla base del palazzo.
Concentrando vista e udito, intravedeva i gesti e udiva un mormorio
indistinto.
Tuttavia già immaginava cosa stessero dicendo.
Poi vide una persona, una ragazza, appoggiarsi alla parete-finestra di un
appartamento del palazzo che affiancava il loro.
L’appartamento si trovava più in basso rispetto ai due, subito sotto il tetto
adiacente.
La ragazza li osservò, e scosse la testa.
A quel punto L sembrò cadere di lato.
Verso il vuoto.
Dalla piccola folla sottostante giunse, lievemente, un grido.
Negi si protese per afferrare quello sconsiderato di L.
Che però, dandosi la spinta con la gamba nel vuoto e usando come perno la
gamba ancora appoggiata sulla ringhiera, fece una rotazione su se stesso,
modificò la traiettoria di caduta e cadde in piedi sul terrazzo.
Tutto era avvenuto cosi rapidamente che Negi stava ancora con le braccia
protese verso un punto ora vuoto.
L tirò fuori dallo zaino una maglia bianca uguale alla sua.
“Il colore dei jeans va bene. Metti la maglia”.
Quando Negi ebbe finito L, continuando a mangiare biscotti, disse “Scendiamo
di sotto”.
Allibito, Negi lo seguì.
Una volta scesi dal palazzo, L disse a Negi di andare avanti, attraversando
la strada che separava i due palazzi.
E alcune persone, di quelle che si erano raggruppate per assistere allo
strano spettacolo, prima sembrarono riconoscerlo, poi scossero la testa, dicendo
che era troppo piccolo.
Dopo anche L attraversò la strada, e lui fu riconosciuto, attirandosi mormori
di disapprovazione.
L non se ne curò, intento com’era a mangiare biscotti.
E Negi non volle chiedergli niente quando arrivò, perché non sapeva cosa
dire.
Entrati nel secondo palazzo, salirono con l’ascensore fino all’ultimo piano.
“Bene, Negi. Ora è il tuo turno” dichiarò L.
“Ovvero?”
Da una tasca, L trasse un piccolo taccuino con penna annessa.
“Vai a quella porta e bussa” ordinò consegnando il tutto a Negi.
Che perplesso obbedì, mentre L andò a nascondersi nelle scale affianco
all’ascensore.
Il ragazzino bussò e poco dopo la porta venne aperta da una bella ragazza,
vestita in modo casual e con lunghi capelli castani raccolti in una coda di
cavallo.
“E tu chi saresti?” domandò la ragazza squadrando il ragazzino da capo a
piedi.
“Io… ehm… ecco… io..” balbettò Negi.
La giovane puntò gli occhi sul taccuino.
“Oh, immagino che tu sia un mio piccolo fan, eh?” disse grattandosi il naso.
Prese il taccuino, scrisse qualcosa e lo riconsegnò a Negi facendo un lieve
sorriso.
“Ora torna a casa, piccolo” concluse la ragazza chiudendo la porta.
L fece cenno a Negi di raggiungerlo.
Negi guardò il taccuino. C’era scritto: “Con affetto, Chiu!”
“Quindi quella era Hasegawa!” esclamò Negi. “Cavolo, io conosco Chiu, ma al
naturale è cosi diversa rispetto a come appare in TV”.
“Esatto. Ora tocca a me. Tu nasconditi” dichiarò L tirando fuori dallo zaino
una cartelletta e un paio di occhiali.
Li indossò coprendo del tutto le sue occhiaie.
Poi premette un punto alla base della sua schiena, che magicamente diventò
dritta.
“Urca!” esclamò Negi.
Gli venne il sospetto che L avesse una colonna vertebrale meccanica.
E l’idea lo fece sorridere.
Con calma L andò alla porta di Hasegawa e bussò.
La ragazza tornò ad aprire.
“E lei chi è?” domandò guardinga.
“Salve, sto facendo una raccolta di fondi per i bambini orfani. Mi potrebbe
dare un’offerta?” domandò L.
“Ma che sta dicendo?” pensò Negi stupito.
Intanto Chisame, inarcando un sopraciglio, squadrò L da capo a piedi, poi si
guardò intorno e dalla tasca trasse una mazzetta di banconote.
“Tenga. Donazione anonima” precisò Hasegawa richiudendo la porta.
L tornò da Negi.
“E allora?” domandò incuriosito quest’ultimo.
“Andiamo a fare merenda” rispose L “Ha offerto lei”.
E superò Negi andando verso l’ascensore.
Il primo film di Godzilla non stava entusiasmando molto Kotaro.
La parte iniziale era stata piuttosto lenta, anche se gli insettoni
preistorici non erano male.
Sperò comunque che arrivato il momento dello scontro tra i medesimi insettoni
e il mitico Big G, le cose sarebbero migliorate.
Guardò l’orologio.
Erano le sette e mezza e a Negi restava solo un’ora per tornare al cinema.
Dopo di che, appena giunto dietro la porta da cui era uscito, l’amico gli
avrebbe fatto un segnale e Kotaro sarebbe andato ad aprirgli.
Ma era una cosa che andava fatta finché durava il film.
I movimenti si notano poco nel buio della sala.
Che comunque avevano scelto ad un orario in cui era poco affollata.
Kotaro si chiese se non la stessero facendo troppo pesante.
Ma Negi era stato categorico: la misteriosa persona che aveva contattato per
aiutare Asuna, voleva restare nell’anonimato più assoluto, quindi niente azioni
che avrebbero potuto in qualche modo collegarli.
Poteva solo aspettare quindi, sperando che l’amico non si ficcasse in guai
grossi.
D’altronde era anche una sua responsabilità, visto che lui aveva indirizzato
Negi verso quel misterioso sito.
Intanto arrivò il momento dello scontro tra Godzilla e lo sciame di insettoni.
“Vai Big G! Bruciali tutti!” esclamò il ragazzino.
Negi fissò sbalordito L: sembrava una macchina divoratrice di zuccheri!
Nella mezz’ora in cui erano stati in quel bar, L, seduto con i piedi sulla
poltrona, aveva già mangiato quattro ciambelle, cinque cornetti, due coni
gelato, tre leccalecca e adesso stava gustando una grossa fetta di torta alla
panna.
Particolare poi il modo in cui teneva il cucchiaino per la torta: lo reggeva
per un’estremità usando solo la punta di due dita.
La sua voracità era tale che Negi, accontentatosi di una sola fetta di torta,
non gli aveva chiesto niente su di lui e sulle strane azioni compiute poco
prima.
Né, d’altronde, L sembrava intenzionato a parlare, essendo solo concentrato
sul cibo.
Un’altra cosa che colpiva era che L mangiava mantenendo sempre un espressione
impassibile.
Niente versi o smorfie da ghiottone.
Bensì uno sguardo serio e controllato, come un chirurgo che effettua
un’operazione.
Lo strano detective chiese poi un caffè e il conto.
E quando il cameriere gli portò un vassoio con la tazza e il porta zucchero,
L prese il caffè e lo verso in quest’ultimo, mescolò col cucchiaio tenuto sempre
per l’estremità, bevve tutto di un fiato facendo attenzione a non dimenticare
neppure un granello di zucchero, lesse il conto e pagò in contanti il perplesso
cameriere.
Infine uscì, seguito a ruota da Negi.
“Ehm” azzardò quest’ultimo “Non pensa che tutto questo zucchero possa farle
male?”
“Lo zucchero è indispensabile per il cervello. E per la mia salute non mi
preoccupo. Fino ai trent’anni circa, il metabolismo regge perfettamente tale
ritmo” fu la risposta.
“Sarà. Comunque…”
“Eccolo” indicò L.
Mentre la giornata cominciava a volgere al termine, una grossa auto sportiva
entrò nel parcheggio sotterraneo del palazzo dove era avvenuto l’omicidio.
L e Negi vi rientrarono, presero l’ascensore e salirono fino al penultimo
piano.
Poi si nascosero nella tromba delle scale.
Poco dopo, da un altro ascensore, arrivò un uomo alto e molto robusto, con
indosso un completo sportivo e capelli biondissimi.
Fischiettando lo sconosciuto entrò in uno degli appartamenti.
“Quello è il secondo testimone, Ken Masters” spiegò L prevenendo Negi. “E’
appena rientrato dagli studi televisivi, dove tiene un programma sugli sport e
sul culturismo. E’ un uomo che tiene molto al suo fisico e alla sua immagine di
grande sportivo. L’anno scorso ha vinto il premio come sportivo giapponese
dell’anno. Questo perché si è ripreso splendidamente da un brutto incidente
automobilistico, tornando come prima. E anche lui tiene molto alla sua privacy”.
“Capisco”.
“Andiamo al piano di sopra” ordinò L.
Giunsero davanti all’appartamento dove era avvenuto l’omicidio, ancora
sigillato dai nastri della polizia.
Vedendo quel luogo, Negi sentì aumentare l’angoscia per Asuna.
“Aspetta qui” disse L tornando al piano di sotto.
Negi cominciava a non capirci più niente.
Che senso aveva tutto quello che stavano facendo in quella giornata?
Tanto più che il film di Godzilla sarebbe finito tra venticinque minuti,
rischiando cosi di far saltare la copertura.
Poi udì dei tonfi lontani, quindi la voce di L: “Corri qui!”
Pur non capendo, Negi eseguì l’ordine e correndo scese al piano sottostante,
vide L che gli faceva cenno di andare verso le scale, e una volta raggiunte L lo
mise dietro di se e scesero di un piano.
Dopo un po’, udirono una porta aprirsi, dei passi, un ‘Mah!’ e la porta che
si chiudeva.
Ritornarono al piano superiore.
“Bene” commentò L “Ora voglio che correndo fai il percorso inverso. E quando
passi davanti alla porta di Masters, bussa forte e grida aiuto. Poi scappa fino
all’appartamento di Takamichi”.
Negi era sempre confuso, ma obbedì ancora.
Scattò in avanti, si fermò alla porta di Masters, batté forte gridando:
“Aiuto! Mi aggrediscono! Aiuto!” e poi corse fino al piano superiore, fermandosi
col fiatone davanti alla porta di Takamichi.
Poco dopo, sentì leggermente la porta di Masters aprirsi, poi
un’imprecazione, probabilmente, e infine la porta che si chiudeva bruscamente.
L raggiunse Negi, con in bocca un nuovo leccalecca. “Afufa è fuafi
fifufafenfe fiffofenfe”.
“Eh?!”
L si tolse il leccalecca. “Scusa. Il gusto ciliegia mi aiuta molto. Dicevo
che quasi sicuramente Asuna è innocente”.
“Quasi?! Davvero?”
“Be, esiste un 1% di possibilità contrarie, comunque penso proprio che lo
sia”.
“E su cosa si è basato?” domandò Negi.
Sprizzava una confusa euforia da tutti i pori.
“I testimoni non sono attendibili” riprese L “Partiamo dal primo e più
importante testimone: Chisame Hasegawa.
Orbene, Chisame Hasegawa è miope. Non è in grado di distinguere bene le
figure oltre una certa distanza. Infatti non è riuscita a riconoscere noi due
nonostante prima, sul tetto, fossimo a solo quaranta metri di distanza da lei.
Mentre le persone in basso sono riuscite a riconoscerci nonostante fossero a ben
ottanta metri di distanza. Quando poi ha aperto la porta davanti a me ho
riconosciuto sul suo naso i segni, leggeri, degli occhiali.
Non ha riferito alla polizia questo particolare a causa della sua carriera:
Chisame Hasegawa tiene molto alla sua bellezza, al suo apparire, ritiene che gli
occhiali stonino troppo. Per questo cerca di tenerli nascosti. Sul lavoro e
fuori casa usa delle lenti a contatto. Indossa occhiali solo quando è in casa e
anche in quel frangente fa sempre attenzione a non farsi beccare mentre li ha
indosso. Neppure se deve affacciarsi alla finestra. O se ha di fronte un bambino
che desidera solo un autografo. Per lo stesso motivo è impossibile che qualcuno
possa sapere di questo suo difetto.
Sono sicuro che lei ha visto effettivamente qualcosa quella sera, ma si
trattava di una sfocata figura bianca che colpiva un’altra figura sfocata.
E’ stato il litigio che afferma di aver udito prima del delitto a rafforzare
la sua sicurezza di poter testimoniare tenendo nascosto il suo problema.
Lo stesso riguarda Ken Masters, perché ha la stessa mentalità, lo stesso
desiderio di apparire perfetto per non perdere pubblico.
E grazie anche al riserbo con cui ha circondato la sua vita privata, nessuno
immagina che l’incidente di un anno fa ha lasciato invece il segno, sulla sua
gamba destra.
Ho esaminato la sua cartella clinica e scoperto che se prova a camminare
normalmente, in teoria ci riesce, ma a prezzo di dolori lancinanti. Per questo
fa incetta di antidolorifici quando deve apparire in tv, lo sportivo dell’anno
non può permettersi di farsi vedere zoppicare.
Quando è in casa, la faccenda è diversa, si rilassa e non usa gli
antidolorifici.
In tal caso però, è obbligato a zoppicare, quindi la sua velocità diminuisce.
Una persona che corre dall’appartamento di Takamichi fino alle scale di
questo piano, ci impiega dai ventotto ai trenta secondi.
Masters per arrivare alla porta ci ha messo la prima volta quarantasette
secondi, scesi a quaranta quando sembrava che ci fosse un’emergenza. Quindi mi
risulta difficile credere che la notte dell’omicidio sia riuscito a intravedere
la figura dell’assassino o assassina. Al massimo può aver sentito qualcuno
scendere lungo le scale.
Anche lui ha creduto di poter testimoniare venendo convinto dal litigio udito
prima.
E inoltre, conosceva i dettagli perché glieli ha rivelati Hasegawa. Stando al
rapporto della polizia, i due si sono presentati insieme al commissariato.
Probabilmente lei ha detto a lui cosa ha visto, permettendo quindi a Masters di
avere dei particolari da riferire. E lui ha riferito le stesse cose di Hasegawa,
usando le stesse parole.
La loro testimonianza, unita alla visione dei filmati della festa, ha fatto
fare uno sbagliato due più due alla polizia”.
“Incredibile” mormorò Negi “Ma se quei due non erano testimoni attendibili,
perché diavolo hanno testimoniato?”
“Dovere di bravi cittadini. Una buona cosa, che purtroppo in loro è stata
contaminata dal divismo” spiegò L.
“Se le cose stanno cosi, allora possiamo far scagionare Asuna!”
“Meglio di no, per ora”.
Negi rimase di sasso. “E perché?”
“E’ tutto troppo studiato. Non trovi strano che due personalità famose,
entrambe con degli handicap e molto attente alla loro fama, pronte anche a
mentire ‘innocentemente’ pur di non danneggiare quest’ultima, si siano trovate
nello stesso momento ad essere testimoni dello stesso delitto? Qualcuno una
volta disse che due coincidenze fanno un indizio. L’indizio è che Asuna è stata
incastrata”.
“Incastrata? Non può essere. Chi può avere interesse a farla finire in
prigione?”
“Lo scopriremo. Comunque, dato che qualcuno trama nell’ombra contro Asuna,
allora è meglio se resta in prigione, dove sarà al sicuro. Farla tornare in
strada potrebbe renderla un bersaglio. Non dimentichiamo che comunque c’è un
assassino in questa storia”.
“Mi sa che ha ragione” ammise Negi chinando il capo. Gli occhi caddero
sull’orologio. “Cavolo! Il secondo film sta per finire! Devo tornare al cinema”.
“Ci vediamo domani, stesso luogo e stessa ora. Indagheremo su come Asuna è
finita a quella festa” disse L tirando fuori un altro leccalecca.
Negi annuì e corse via.
Sullo schermo avevano cominciato a scorrere i titoli di coda.
E Kotaro aveva iniziato ad innervosirsi: dove era finito Negi?
Probabilmente se la stava prendendo troppo, in fondo erano solo due ragazzini
in un cinema.
Però quella era una faccenda di omicidio, quindi non voleva correre alcun
rischio.
Finalmente dal suo cellulare arrivò uno squillo con il numero di Negi.
Sollevato, Kotaro si alzò alla chetichella e si diresse verso la porta
d’emergenza, l’aprì ed entrò trafelato Negi.
Ritornarono ai loro posti e le luci in sala si riaccesero nell’istante in cui
si sedettero.
Kotaro fece un sospiro di sollievo. “Uff, per un pelo. Come è andata?”
“Bene. Molto bene” rispose raggiante Negi.
Nota: l'idea dei due testimoni invalidi e ingannati dal litigio l'ho presa dal bel film 'La parola ai giurati' con Jack Lemmon. -
§AxeLife§.
User deleted
Stupendissimo *-* l'assassino è il Commissario della Polizia u.u (ogni volta ne provo uno XD) . -
§AxeLife§.
User deleted
Quando continui? D: . -
.
Stupenda fanfiction! Continuala. *^* . -
†The Zel†.
User deleted
Ormai mi sono anche dimenticato la storia D: . -
§AxeLife§.
User deleted
Rileggila.